Il Castello
Un sito antico e strategico Era il 1221 quando Federico II visitò per la prima volta la collina in cima alla quale sarebbe sorto il suo castello. Un sito antichissimo nel quale ancora oggi sono visibili tracce di epoche diverse, dalle capanne neolitiche ai ruderi dell’acropoli romana, fino ai resti di una Chiesa; una collocazione strategica, isolata e in posizione centrale tra il Gargano, il Tavoliere, e il Sub-appennino dauno.
L’avamposto settentrionale Il puer Apuliae si convinse della necessità di erigere proprio lì una fortezza che potesse diventare l’avamposto settentrionale del sistema castellare svevo in Puglia. Passarono però diversi anni prima che il suo progetto potesse essere realizzato: bisognerà aspettare il 1233, quando Federico, di ritorno da una crociata, trovò il tempo e il denaro necessari ad avviare i lavori.
Il palatium che fu Posto in cima ad una collina, del Palatium federiciano con base piramidale resta solo qualche frammento interrato nella parte nord-est. Il castello si sviluppava attorno ad un cortile centrale quadrato che al livello del terzo piano si presentava invece con una forma ottagonale. Le quattro ali abitative, che costituivano il corpo centrale del complesso, si elevavano su tre piani. Alcune torri laterali completavano l’edificio che non presentava ingressi al piano terra sostituiti probabilmente da un sistema di scale mobili esterne.
Segnali di fumo, di fuoco e di bandiere A un tempo lussuosa dimora imperiale e minaccioso edificio fortificato, il castello di Lucera fu inserito nell’importante rete della comunicazione visiva allestita tra un castello e l’altro per sorvegliare le coste pugliesi: di giorno ci si avvaleva di segnali di fumo in codice e degli sbandieratori, mentre nel buio della notte si lanciavano segnali di fuoco.
Sfarzo orientale L’imperatore volle dare grande splendore artistico al suo palatium arredando i trentadue vani con con raffinatezza e sfarzo: oro, argento, pietre preziose ma soprattutto numerose statue importate anche dall’Oriente fecero del castello di Lucera il più affine ad un palazzo orientale.
Le fanciulle saracene E, come un palazzo orientale che si rispetti, il palatium aveva il suo personale musulmano e soprattutto un padiglione in cui vivevano molte fanciulle saracene che le malelingue e il Papa stesso accomunavano ad un harem.
L’harem e lo zoo al seguito Le saracene, insieme ai molti animali posseduti da Federico II – aquile, barbagianni, cani, falchi, gufi reali, orsi, pavoni, poiane, bianchi aras dell’India, rare colombe siriane, struzzi africani, leoni, leopardi, linci, pantere, scimmie, un elefante e una giraffa – lo seguivano nei suoi continui spostamenti comunicando ovunque la sua magnificenza.
I vestiti dell’imperatore Quando non si spostavano con lui, le fanciulle saracene venivano occupate nei lavori di filatura approntando per il loro signore vesti di corte e di guerra e gualdrappe per i suoi animali.
Tesori e fiere Il castello di Lucera ai tempi dello svevo rivestì anche un importante ruolo dal punto di vista economico: custodì una parte del tesoro di Stato, nel recinto ospitò un edificio per una delle zecche imperiali e attorno ad esso si svolgeva annualmente una delle più importanti fiere del Regno.
La Casa della Scienza Secondo una fonte araba al suo interno Federico II aveva intrapreso la costruzione di una Casa della Scienza, la “Dar al-’ilm”, una sorta di fondazione culturale aperta ai dotti dell’epoca.
La leonessa e il leone della cittadella angioina Con gli angioini la fortezza venne trasformata in una vera e propria cittadella militare autonoma, divenendo un deposito di armi varie; fu costruita la cinta muraria lunga 900 metri, rinforzata da 22 torri e resa inaccessibile da un profondo fossato alla cui estremità si ergono la Torre della Leonessa e la Torre del Leone.
L’abbandono Danneggiato nel ’400 da un terremoto, il palazzo federiciano venne utilizzato nel ’700 come cava per la costruzione del tribunale. Rovinato dal tempo e dall’incuria, saccheggiato nei secoli per farne a sua volta materiale da costruzione, poco rimane degli sfarzi di un tempo, di quando lo svevo vi veniva a ritrovare pace e serenità e a comporre versi poetici. Fonti: “La via dei canti” di Angelo Lucano Larotonda www.treccani.it