Il Castello
La fortezza dell’ammiraglioSulla vetta di un monte roccioso che domina il vallone Caffaro, si ergono i resti delle torri, della base e dei muri del castello di Lauria la cui fama è legata alla figura di Ruggiero di Lauria, celebre ammiraglio d’Aragona. L’illustre Giustiziere di Federico Riccardo, il padre del “gran capitano”, tenuto in tanta considerazione da Federico II da esser nominato viceré delle terre di Bari e Gran Giustiziere della Basilicata, aveva certamente fissato la sua dimora nel castello di Lauria che, come sostiene il Muntaner, doveva essere “il più cospicuo” dei ventiquattro castelli sottoposti al suo comando, nelle cui segrete nobili personaggi invisi a Federico sarebbero stati custoditi dall’illustre Giustiziere. Le origini oltre la fama Secondo alcuni, la storia del Castello di Lauria è più antica del suo più famoso possessore: i documenti al riguardo non sono copiosi ma alcune tracce consentono di ipotizzare le vicende della sua origine. I documenti più antichi oggi conosciuti sono quelli che fanno risalire l’epoca di una ristrutturazione e fortificazione del castello ad opera di Gisulfo I, principe di Salerno di origine Longobarda, nella seconda metà del X secolo. Secondo altri, invece, la costruzione del maniero risale al XIII sec.: le strutture ancora esistenti non consentono una puntuale ricostruzione del complesso che doveva, però, avere dimensioni ampie. Tracce di un’antica grandezza A pianta ottagonale, con mura perimetrali di dimensioni notevoli, la costruzione si sviluppava forse su tre piani e possedeva torri laterali di cui resta ancora traccia. L’unico accesso era dal lato orientale: restano poche tracce di una scala molto ripida ed è ancora
visibile l’entrata principale fondata su roccia viva. La murazione è di tipo tradizionale in pietra locale. Lo stato assolutamente precario di conservazione, l’ampia vegetazione che lo ricopre, non riescono a nascondere i segni di una antica grandezza, dimostrata innanzitutto dal modello della pianta che vagamente ricorda il più noto Castel del Monte federiciano. Il maniero, eretto in posizione dominante e completamente imprendibile, era una rocca che sorgeva a guardia e a minaccia della valle per ricordare da secoli sia la forza di Ruggiero che il fascino del suo antico casato. La resistenza a Napoleone Il castello fu il centro della resistenza agli assalti del generale francese Massena, che espugnò e punì duramente la città di Lauria, insorta dopo l’occupazione francese nel 1806. Molti abitanti l’8 e il 9 agosto furono barbaramente trucidati dai soldati napoleonici: l’evento è passato alla storia come il Massacro di Lauria. La voce della vendetta La leggenda narra che in questo castello i feudatari ospitassero le più belle fanciulle della regione, per istruirle nell’arte dell’amore e dello spionaggio, inviandole quindi presso i signori che ne facessero richiesta. Si racconta che un giorno, una di queste belle fanciulle, cresciuta da uno dei signori del castello, si fosse innamorata di un inserviente. Il signore, preso dall’ira, uccise il servo pensando di rimanere solo ed ancora amato come un tempo. Ma una notte di tempesta, la fanciulla chiese al signore di seguirla nei sotterranei, dove avrebbero assaporato il frutto dell’amore. Nello scendere le scale, il signore vide aprirsi una porta: era il fantasma dell’ucciso che pretendeva l’amore più caro del signore, l’anima. Si racconta che il signore fosse precipitato da una finestra del castello, gettato dalla fanciulla e dal fantasma del servo, e da allora si sentono ancora degli spifferi che raccontano questa orribile storia. Noli me tangere Simbolo del comune di Lauria è il Basilisco con la scritta Noli me tangere (“Non mi toccare”), che ricopre tutta una serie di significati, tra i quali quello, originario, che in varie forme della coscienza collettiva rimane ancora vivo, è la temibilità ed intoccabilità dell’abitato, grazie alla presenza della fortezza. Fonti: – http://www.ecodibasilicata.it/html/ruggero_di_lauria.html – “Lauria: città 10 e lode” – Fotottica Moderna a cura di A. Chiacchio e C. D’Alessandro, 2001