Il Castello
Il tesoro di Federico Il castello di Melfi era il simbolo del potere imperiale e della ricchezza culturale di Federico II. Dentro le sue mura, nel 1231, vennero elaborate le Costituzioni Melfitane. Federico lo utilizzò anche come tesoreria regia, come deposito delle riscossioni effettuate in Basilicata, nonché come prigione, in cui fu incarcerato il saraceno Othman di Lucera. Nel 1232 Federico II ospitò il marchese di Monferrato e sua nipote Bianca Lancia, l’unica donna che egli abbia veramante amato. Nel 1241, furono trattenuti nella fortezza due cardinali e numerosi vescovi francesi e tedeschi che avrebbero dovuto partecipare al Concilio bandito da Papa Gregorio IX per deporre lo Svevo. A Melfi, infine, si compì parte della storia degli eredi dell’imperatore nei pochi anni di
sopravvivenza della dinastia. Potere temporale e potere spirituale Il castello fu costruito per volere di Guglielmo d’Altavilla nel 1042, quando Melfi fu scelta dai Normanni come capoluogo politico e amministrativo. Qui si svolsero sei Concili Papali tra 1059 e il 1221 e nel 1089 fu bandita la prima crociata alla volta di Gerusalemme. Gravando con la sua mole sul borgo sottostante, il castello costituiva un efficace strumento di costrizione, anche psicologica, sulla popolazione locale, rimarcando nettamente l’opposizione rispetto al restante nucleo urbano, a sua volta imperniato sulla cattedrale, emblema del potere ecclesiastico. In seguito, con l’istituzione del Regnum Siciliae da parte di Ruggero II, i castelli divennero lo strumento per garantire alla monarchia non solo un apparato militare efficiente e organico, ma anche il controllo politico sulle forze centrifughe interne, nonché sui settori e i ceti produttori di ricchezza. Un simile ruolo venne rivestito dalla rocca di Melfi anche con gli Svevi: nello Statutum de reparatione castrorum del 1241-1246, il castello lucano viene annoverato fra i castra (e non fra le domus) federiciani.
L’infeudamento Con la decaduta degli svevi e l’arrivo dei nuovi dominatori angioini, il castello di Melfi subì massicci ampliamenti e restaurazioni, oltre ad essere eletto da Carlo II d’Angiò residenza ufficiale di sua moglie Maria d’Ungheria. Fu ancora soggetto a modifiche nel cinquecento sotto il governo aragonese e divenne proprietà prima degli Acciaiuoli, poi dei Marzano, dei Caracciolo ed infine dei Doria fino al 1950, questi ultimi ne trasformarono il corpo centrale per renderlo una residenza signorile.
Le torri inviolabili Attualmente il castello presenta una cinta muraria con otto torri dette: dell’Ingresso, delloStendardo o dei Cipressi, della Secretaria o Della Terrazza, del Baluardo del Leone, dell’Imperatore o dei Sette Venti, Torre senza nome, della quale restano solo i ruderi, Torre di Nord Est o Torrita Parvula, Torre delle Carceri o di Marcangione, Torre della Chiesa, Torre dell’Orologio. La costruzione appare subito come un edificio di stile disomogeneo, frutto dei numerosi interventi architettonici portati avanti dai suoi regali abitanti, susseguitisi nei secoli. Dal lato settentrionale, la sua massa scura costituita dalla pietra vulcanica della zona emana un forte senso di inviolabilità; il castello si presenta come un’immensa e possente città bastionata e turrita, frutto di secolari stratificazioni che hanno trasformato il suo primitivo impianto normanno – a pianta rettangolare munita agli angoli di quattro torrioni quadrati – in un imponente sistema difensivo, composto da uno spalto, da un fossato su tre lati e da una cinta fortificata da dieci torri quadrangolari e poligonali. Il guardiano del Sarcofago di Rapolla Di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alcune delle sue sale ospitano oggi il Museo Nazionale del Melfese, nel quale sono esposti numerosi reperti archeologici provenienti dalle zone limitrofe. Nella Torre dell’Orologio vi è conservato il celebre Sarcofago di Rapolla (dal nome della località dove fu rinvenuto nel 1856), una delle più importanti testimonianze di arte di scuola asiatica del II secolo d.C. Fonti: S. Mola, Il Castello di Melfi Copyright ©2002 Stefania Mola , da www.stupormundi.it