De arte venandi cum avibus
La nobile arte della caccia Una delle più grandi passioni dell’imperatore svevo era la caccia che egli coltivò nel significato più nobile della parola. Per Federico II, infatti, cacciare era un esercizio spirituale, inteso come mezzo per conoscere meglio la natura. Egli, però, non si accontentava della sola pratica di questo sport, da lui vissuto come arte e come scienza: aveva sete di sapere e si documentò leggendo ciò che fino ad allora si conosceva degli uccelli e della caccia con i rapaci e accogliendo a corte tecnici ed esperti in materia di falconeria. Rimirando la natura Ciò che leggeva e ciò che udiva da questi studiosi giunti appositamente dall’Arabia e d’altrove doveva prima passare il vaglio delle sue osservazioni. L’imperatore, cioè, dava priorità all’osservazione diretta e fu uno dei primi studiosi latini a considerarla al di sopra dell’autorità degli scrittori. Riuscì così a raccogliere tanti dati da poter redigere un vero e proprio trattato di falconeria: il “De arte venandi cum avibus”, ovvero “Sull’arte di cacciare con gli uccelli”. Non è facile determinare con precisione l’epoca della composizione perché la sua elaborazione fu saltuaria e lenta e la stessa redazione definitiva tradisce l’intervento di un’altra mano, probabilmente quella di Manfredi. Gli studi cominciarono probabilmente prima che egli partisse per la crociata, né meno di un decennio durò l’assidua raccolta del materiale. Egli si procurò falchi ed uccelli affini dall’Inghilterra, dall’Irlanda, dalla Spagna, dalla Bulgaria, dall’Asia minore, dall’Egitto, dall’India e da latri paesi dell’Oriente per confrontarli tra loro. Il
talento dell’imperatore Oltre 500 disegni arricchiscono il trattato, un vero e proprio manuale sull’arte venatoria che illustra i sistemi di allevamento, addestramento e impiego di uccelli rapaci (propriamente falchi) nella caccia. Poiché di Federico II si dice avesse una spiccata attitudine al disegno, è molto probabile sia lui l’autore di queste illustrazioni estremamente curate nella scelta dei colori del piumaggio e nel dettaglio delle particolarità anatomiche. Dalla forza bruta alla collaborazione Il De arte venandi cum avibus, per l’impostazione originale dell’opera e per l’ampiezza delle ricerche, superò ed annullò tutti i precedenti scritti di ornitologia, acquistando di colpo un carattere internazionale. Con esso si aprì la strada della falconeria nel mondo occidentale, concepita nel rispetto dei rapaci. Il manoscritto originale (un codice in pergamena contenente 111 fogli) che in realtà è una copia redatta dal figlio Manfredi dopo il 1258, è conservato alla Biblioteca Vaticana. Con Federico II, il vecchio concetto della caccia come inganno o forza bruta finalizzata ad annientare la preda lascia spazio ad un’idea di pratica svolta con la cooperazione di animali intelligenti ed addestrati. La falconeria d’Alto Volo diventa la forma più nobile e leale di confronto mai esistito, dove il rapporto uomo-natura raggiunge la sua massima espressione ed armonia, con al vertice della piramide il falco, e alla base il falconiere, i cavalli e i cani. Fonti: “La cultura alla corte di Federico II Imperatore” di Antonino De Stefano “Federico II e la Falconeria” – Copyright ©2001 Alberto Gentile (www.stupormundi.it)